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Voi Bene Gesserit definite la vostra attività del Panoplia Prophetica una «Scienza della Religione». Molto bene. Io, che sto cercando un tipo tutto diverso di «scienziato», trovo che è una definizione appropriata. Voi avete creato i vostri miti, certo, ma così fanno tutte le società. Tuttavia, io debbo mettervi in guardia. Voi vi state comportando nell’identico modo di molti altri scienziati fuorviati. Le vostre azioni rivelano che voi desiderate togliere alla vita qualcosa d’essenziale. È tempo che vi sia ricordato ciò che voi stesse professate: non c’è nessuna cosa che si possa ottenere senza il suo opposto.

 

– Il Predicatore di Arrakeen:
 Messaggio alla Sorellanza

 

 

Durante l’ora che precedette l’alba Jessica restò seduta, immobile, sopra un consunto tappeto di panno di spezia. Intorno a lei vi erano le rocce spoglie di un antico e povero sietch, uno dei primi insediamenti, in assoluto. Si trovava sotto l’orlo del Crepaccio Rosso, protetto dai venti occidentali del deserto. Al-Fali e i suoi tre fratelli l’avevano portata lì; ora aspettavano che Stilgar si mettesse in contatto con loro. Tuttavia, i Fedaykin si erano mossi con prudenza per quanto riguardava le comunicazioni. Stilgar non era stato informato della località esatta dove si trovavano.

I Fedaykin già sapevano di essere stati sottoposti a un procès-verbal, un rapporto ufficiale per crimini commessi contro l’Impero. Alia aveva scelto la tesi che sua madre era stata sobillata da nemici del regno, anche se fino a quel momento la Sorellanza non era stata nominata. La natura arbitraria e tirannica del regime di Alia, tuttavia, si era rivelata apertamente, e la sua convinzione che il controllo da lei esercitato sul clero le desse anche il controllo dei Fremen stava per subire una dura prova.

Il messaggio di Jessica a Stilgar era stato semplice e schietto: Mia figlia è posseduta e dev’essere sottoposta al giudizio.

Tuttavia la paura stava distruggendo gli antichi valori, e già si sapeva che alcuni Fremen preferivano non credere a questa accusa. Il tentativo di servirsi di questa accusa come lasciapassare era già costato due battaglie notturne ai fuggiaschi, ma gli ornitotteri che gli uomini di al-Fali avevano rubato erano riusciti a condurli fino a quella precaria sicurezza: il Sietch del Crepaccio Rosso. Da lì si stavano inviando messaggi ai fedaykin, ma in tutto Arrakis ne rimanevano meno di duecento. Gli altri erano sparsi qua e là per tutto l’Impero, con incarichi di fiducia.

Riflettendo su questi fatti, Jessica si chiese se ella non si trovasse, ora, nel luogo della propria morte. Alcuni dei fedaykin lo credevano, ma i commandos della morte accettavano fin troppo facilmente questo concetto. Al-Fali si era limitato a sorridere, quando qualcuno dei suoi uomini più giovani aveva manifestato i propri timori.

– Quando Dio stabilisce che una creatura muoia in un certo luogo, egli fa sì che la volontà di quella creatura la conduca nel luogo predestinato, – aveva detto il vecchio Naib.

Le tende rattoppate che mascheravano la porta frusciarono; al-Fali entrò. Il volto sottile e riarso dal vento del vecchio appariva teso, gli occhi febbrili. Ovviamente, non aveva dormito.

– Sta arrivando qualcuno, – annunciò.

– Da parte di Stilgar?

– Forse. – Al-Fali abbassò lo sguardo e lanciò un’occhiata verso sinistra, al vecchio modo di un Fremen che porta cattive notizie.

– Che cosa c’è? – chiese Jessica.

– Abbiamo ricevuto notizie da Tabr che i tuoi nipoti non sono più lì. – Parlò senza guardarla.

– Alia…

– Alia ha ordinato che i gemelli le siano affidati in custodia, ma Sietch Tabr riferisce che i fanciulli non si trovano lì. È tutto quello che sappiamo.

– Stilgar li ha mandati nel deserto, – disse Jessica.

– Forse. Ma sappiamo anche che li ha cercati per tutta la notte. Forse è un trucco da parte sua…

– Non è nello stile di Stilgar, – replicò Jessica. E pensò: A meno che i gemelli non lo abbiano spinto a farlo. Ma neanche questo le sembrò giusto. Si meravigliò di se stessa: nessuna sensazione di panico da dominare, i suoi timori per i gemelli erano temperati da ciò che Ghanima le aveva rivelato. Scrutò al-Fali, colse la pietà nel suo sguardo. Disse: – Sono andati nel deserto di propria spontanea volontà.

– Di propria volontà? Due bambini?

Jessica non si preoccupò di spiegargli che quei «due bambini» probabilmente ne sapevano di più, sulla sopravvivenza nel deserto, della maggior parte dei Fremen viventi. I suoi pensieri invece si concentrarono sullo strano comportamento di Leto, quando aveva insistito perché lei si lasciasse rapire. Ella aveva ricacciato indietro quel ricordo, ma ora esso ritornava prepotente. Leto aveva detto che lei avrebbe saputo quando fosse giunto il momento di obbedirgli.

– Il messaggero dovrebbe esser giunto nel sietch, a quest’ora, – disse al-Fali. – Lo condurrò da te. – Uscì scostando il tendaggio rattoppato. Era un tessuto rosso, di fibre di spezia, ma i rattoppi erano azzurri. Le storie dicevano che quel sietch si era rifiutato di trarre profitto dalla religione di Muad’Dib, guadagnandosi così l’inimicizia del clero di Alia. Qui, a quanto si riferiva, la gente aveva impiegato tutte le sue risorse nell’allevamento di cani grandi come pony, cani selezionati, grazie alla loro intelligenza, per la custodia dei bambini. Ma i cani erano tutti morti. Qualcuno aveva detto che era stato il veleno, e la colpa era stata attribuita ai sacerdoti.

Jessica scosse la testa per scacciare questi pensieri, riconoscendoli per ciò che erano: ghafla, l’irritante distrazione.

Dov’erano andati i gemelli? A Jacurutu? Essi avevano un piano. Essi hanno cercato d’illuminarmi fino al punto in cui, pensavano, l’avrei accettato. E quando avevano raggiunto quelli che, secondo loro, erano i limiti, Leto le aveva ingiunto di obbedire.

Leto l’aveva ingiunto… a lei!

Leto si era accorto di ciò che Alia stava facendo. Fin qui era ovvio. Entrambi i gemelli avevano parlato dell’«afflizione» della loro zia, anche mentre la difendevano. Alia puntava la propria azione sulla sua posizione di Reggente, e quindi sulla sua perfetta legalità. Il fatto che avesse chiesto i gemelli in custodia lo confermava. Jessica scoprì che una risata sarcastica le scuoteva il petto. Alla Reverenda Madre Gaius Helen Mohiam era sempre piaciuto spiegare questo particolare errore alla sua allieva, Jessica: Se concentri tutta la tua azione soltanto sulla legalità di ciò che fai, tu inviti le forze dell’opposizione a sopraffarti. Questo è un errore molto comune. Perfino io, la tua insegnante, l’ho commesso.

– E perfino io, la tua allieva, l’ho commesso, – mormorò Jessica fra sé.

Udì un fruscio di tessuti nel corridoio oltre la tenda. Entrarono due giovani Fremen: una parte del seguito che avevano raccolto durante la notte. I due erano chiaramente intimoriti di trovarsi alla presenza della madre di Muad’Dib. A Jessica bastò un attimo per leggere dentro di loro: erano due non-pensatori, si aggregavano a qualunque forma di potere, reale o immaginario, per acquisire, in tal modo, un’identità. Senza il riflesso di un simile potere, sarebbero stati vuoti. Erano, perciò, pericolosi.

– Siamo stati mandati da al-Fali per prepararti all’incontro, – disse uno dei giovani Fremen.

Jessica sentì una stretta improvvisa al petto, ma la sua voce rimase calma: – Prepararmi… perché?

– Stilgar ha inviato Duncan Idaho come messaggero.

Jessica si tirò il cappuccio dell’aba sopra i capelli. Un gesto istintivo. Duncan? Ma era lo strumento di Alia!

Il Fremen che aveva parlato fece un mezzo passo avanti. – Idaho dice di esser venuto per portarti al sicuro, ma al-Fali non capisce come ciò sia possibile.

– Davvero sembra strano, – rispose Jessica. – Ma vi sono cose ancora più strane nel nostro universo. Conducetelo qui.

Essi si scambiarono un’occhiata, ma obbedirono, e uscirono insieme con tale fretta che aggiunsero un altro strappo alla tenda consunta.

Un attimo dopo, Idaho scostò la tenda a sua volta, seguito dai due giovani Fremen e da al-Fali, il quale chiudeva la fila con una mano sul cryss. Idaho appariva tranquillo. Indossava l’uniforme di una guardia della Casa degli Atreides, praticamente immutata per più di quattordici secoli. La venuta su Arrakis aveva portato alla sostituzione dell’antica lama di plastacciaio, dall’elsa d’oro, col cryss, ma questo era un dettaglio minore.

– Mi dicono che vuoi aiutarmi, – disse Jessica.

– Per quanto strano possa sembrare… – rispose lui.

– Ma Alia non ti ha mandato forse a rapirmi? – insisté Jessica. Un quasi impercettibile sobbalzo delle sue sopracciglia nere fu l’unico segno di sorpresa. Gli occhi tleilaxu multisfaccettati continuarono a fissarla con scintillante intensità. – Quelli erano i suoi ordini, – Idaho confermò.

Le nocche di al-Fali strette intorno al cryss divennero bianche, ma l’arma restò dentro il fodero.

– Ho passato la maggior parte della notte a riflettere sugli errori che ho compiuto con mia figlia, – dichiarò Jessica.

– Troppi errori, – Idaho ammise, – ed io ne ho condiviso la maggior parte.

Ora lei si avvide che i muscoli della sua mascella tremavano.

– È stato troppo facile dare ascolto agli argomenti che ci hanno condotto fuori strada, – proseguì Jessica. – Io volevo lasciare questo pianeta… Tu… tu volevi quella ragazza che vedevi come una versione più giovane di me.

Idaho accettò questo in silenzio.

– Dove sono i miei nipoti? – chiese Jessica, con voce all’improvviso più aspra.

Idaho si accigliò. Poi disse: – Stilgar è convinto che siano andati nel deserto… per nascondersi. Forse hanno visto l’avvicinarsi di questa crisi?

Jessica lanciò un’occhiata ad al-Fali, il quale annuì, riconoscendo che lei aveva previsto questo.

– Che cosa sta facendo Alia? – chiese ancora Jessica.

– Sta rischiando la guerra civile, – rispose Idaho.

– Credi che si arriverà a tanto?

Idaho scrollò le spalle. – Probabilmente no. Questa è un’epoca di mollezze. Troppa gente vuole ascoltare soltanto argomenti piacevoli.

– Sono d’accordo con te, – annuì Jessica. – Bene, e i miei nipoti?

– Stilgar li troverà… se…

– Sì, capisco. – Allora, sarebbe toccato a Gurney Halleck. Jessica fissò la parete di roccia alla sua sinistra. – Ora Alia ha saldamente impugnato il potere. – Riportò il suo sguardo su Idaho. – Saldamente, capisci? Ma il potere va impugnato con mano leggera. Aggrapparsi al potere con troppa forza significa farsi sopraffare da esso, diventando così le sue vittime.

– Come mi ha sempre detto il mio Duca, – commentò Idaho.

Per qualche ragione, Jessica capì che intendeva parlare del vecchio Leto, non di Paul. Gli chiese: – Dove verrò portata, per questo… rapimento?

Idaho la scrutò, come se cercasse di vedere tra le ombre create dal cappuccio.

Al-Fali fece un passo avanti: – Mia Signora, non penserai seriamente…

– Non ho forse il diritto di decidere del mio destino? – l’interruppe Jessica.

– Ma costui… – Al-Fali indicò con la testa Idaho.

– Costui è stato il mio leale guardiano prima che Alia nascesse, – disse Jessica. – Prima di morire per salvare la vita di mio figlio e la mia. Noi Atreides onoriamo sempre certi obblighi.

– Allora verrai con me? – chiese Idaho.

– Dove la porterai? – s’intromise al-Fali.

– Meglio che tu non lo sappia, – disse Jessica.

Al-Fali si accigliò, ma restò in silenzio. Il suo volto rivelò indecisione, comprensione della saggezza insita nelle sue parole, ma un dubbio tenace sulla fedeltà di Idaho.

– Che cosa accadrà ai fedaykin che mi hanno aiutato? – chiese Jessica.

– Avranno l’appoggio di Stilgar, se riusciranno ad arrivare a Tabr, – disse Idaho.

Jessica si rivolse ad al-Fali: – Ti ordino di recarti a Sietch Tabr, amico mio. Stilgar avrà certamente bisogno dei fedaykin per cercare i miei nipoti.

Il vecchio Naib abbassò gli occhi: – Come la madre di Muad’Dib ordina.

Obbedisce ancora a Paul, pensò Jessica.

– Dobbiamo partire subito da qui, – la sollecitò Idaho. – Certamente la ricerca comprenderà anche questo luogo, e molto presto.

Jessica si piegò in avanti e si alzò in piedi con quella grazia fluida che non lasciava mai del tutto le Bene Gesserit, anche quando sentivano le fitte dell’età. Ora, dopo un’intera notte di fuga, Jessica si sentiva vecchia. Ma anche mentre si alzava, la sua mente ritornò a quello strano colloquio con suo nipote. Che cosa stava facendo, veramente? Jessica scosse la testa, accomodandosi il cappuccio per dissimulare il movimento. Era troppo facile cadere nella trappola di sottovalutare Leto. Il suo contatto con i bambini normali finiva sempre per farle dimenticare le straordinarie capacità ereditarie dei due gemelli.

La sua attenzione fu attratta dall’atteggiamento di Idaho. Era rilassato, ma pronto a scattare con estrema violenza, un piede davanti all’altro… Ella stessa gliel’aveva insegnato. Lanciò una rapida occhiata ai due giovani Fremen e ad al-Fali. Il vecchio Naib era ancora in preda al dubbio, e i due giovani lo sentivano.

– Affido a quest’uomo la mia vita, – disse Jessica, rivolgendosi ad al-Fali. – Non è la prima volta.

– Mia Signora, – protestò al-Fali. – Ma costui è… – Fissò trucemente Idaho. – … È il marito della Coan-Teen!

– È stato addestrato dal mio Duca e da me, – ribatté Jessica.

– Ma è un ghola! – Questa parola era stata letteralmente strappata dalla bocca di al-Fali.

– Il ghola di mio figlio, – gli ricordò lei.

Era troppo per un fedaykin che un giorno aveva giurato di sostenere Muad’Dib fino alla morte. Sospirò, si fece da parte, e accennò ai due giovani di scostare le tende.

Jessica attraversò la soglia, seguita da Idaho. Si voltò, e parlò ad al-Fali: – Tu andrai da Stilgar. Fidati di lui.

– Sì… – Ma sentì ancora il dubbio nella voce del vecchio.

Idaho le sfiorò il braccio. – Dobbiamo partire subito. C’è niente che desideri portare con te?

– Soltanto il mio buonsenso, – lei replicò.

– Perché? Temi forse di commettere un errore?

Ella sollevò lo sguardo su di lui: – Tu sei sempre stato il miglior pilota di ornitotteri al nostro servizio, Duncan.

Questo non lo divertì affatto. La precedette, con rapidi passi, rifacendo all’inverso la tortuosa strada che aveva percorso all’andata. Al-Fali si portò al fianco di Jessica. – Come facevi a sapere che è venuto con un ornitottero?

– Non indossa la tuta distillante, – spiegò Jessica.

Al-Fali parve imbarazzato da questa ovvia deduzione. Tuttavia non si lasciò azzittire: – Il nostro messaggero l’ha guidato qui direttamente da Sietch Tabr. Potrebbero essere stati visti.

– Ti hanno visto, Duncan? – chiese Jessica a Idaho, che le rivolgeva la schiena.

– Lo sai benissimo, – replicò Idaho. – Siamo volati più bassi delle dune.

S’infilarono in un corridoio laterale che conduceva verso il basso, lungo una gradinata a spirale, sbucando infine in una grande cavità vivamente illuminata da un gran numero di globi situati in alto, tra la roccia scura. Un unico ornitottero si trovava accanto alla parete più lontana, acquattato come un insetto in attesa di saltare. Quindi, quella parete doveva essere di falsa roccia – una porta che si spalancava sul deserto. Per quanto quel sietch fosse povero, possedeva ancora gli strumenti della segretezza e della mobilità.

Idaho aprì il portello dell’ornitottero e aiutò Jessica a sistemarsi sul sedile di destra. Mentre gli passava avanti, Jessica vide che il sudore imperlava la sua fronte, là dove era ricaduto un ciuffo di capelli neri, arricciolati. Jessica all’improvviso si trovò a ricordare quella testa che schizzava sangue in un antro sotterraneo pieno di fracasso. Ma lo scintillio d’acciaio degli occhi tleilaxu la strappò a quella fantasticheria. Niente era più come sembrava. Jessica si affaccendò per allacciarsi la cintura di sicurezza.

– È passato molto tempo dall’ultima volta che hai pilotato per me, Duncan, – disse.

– Molto tempo… e molto lontano, – rispose lui. Stava già controllando i comandi.

Al-Fali e i due giovani Fremen stavano aspettando accanto al meccanismo che avrebbe aperto la falsa parete di roccia.

– Pensi che dentro di me alberghino ancora dei dubbi nei tuoi confronti? – bisbigliò Jessica a Idaho.

Idaho sembrò concentrarsi ancora di più sul quadro dei comandi, poi avviò le pale e fissò un indice che oscillava. Un sorriso gli sfiorò la bocca, una smorfia fugace dei suoi lineamenti angolosi, che subito spari.

– Io sono ancora un’Atreides, – disse Jessica. – Alia non lo è più.

– Non temere, – dichiarò lui, quasi digrignando i denti. – Io sono ancora al servizio degli Atreides.

– Alia non è più un’Atreides, – ribadì Jessica.

– Non c’è bisogno che tu me lo ricordi! – ringhiò lui. – Ora sta’ zitta e lasciami pilotare.

Il tono disperato della sua voce la colse di sorpresa, era in completo disaccordo con l’Idaho che lei aveva conosciuto. Soffocando una nuova sensazione di paura, Jessica gli chiese: – Dove stiamo andando, Duncan? Ora puoi dirmelo.

Ma lui si volse verso al-Fali e annuì col capo. La falsa roccia si aprì verso l’esterno, alla luce argentea, abbagliante del sole. L’ornitottero fece un balzo e spiccò il volo, le pale vibrarono per lo sforzo, i getti ruggirono, ed essi salirono in un cielo vuoto. Idaho fece rotta verso sud-ovest, in direzione della catena di Sahaya, che s’intravvedeva lontano come una linea scura sull’orizzonte di sabbia.

Poco dopo disse: – Non pensare male di me, mia Signora.

– Non ho più pensato male di te da quella notte, quando sei piombato nella nostra grande sala di Arrakeen ubriaco di birra di spezia, – disse lei. Ma queste parole servirono soltanto a riaccendere i suoi dubbi, e Jessica si lasciò sprofondare nella condizione, tesa e rilassata insieme, del prana-bindu.

– Ricordo bene quella notte, – disse Idaho. – Ero molto giovane e… inesperto.

– Ma il miglior maestro di scherma al seguito del mio Duca.

– Non proprio, mia Signora. Gurney poteva battermi sei volte su dieci. – Idaho le lanciò un’occhiata. – Dov’è Gurney?

– Sta eseguendo i miei ordini.

Idaho scosse la testa.

– Sai dove stiamo andando? – Jessica gli chiese.

– Sì, mia Signora.

– Allora, dimmelo.

– Sì. Dunque, ho promesso che avrei organizzato una congiura credibile contro la Casa degli Atreides. E, in realtà, c’è un solo modo per farlo. – Premette un pulsante sul quadro di controllo e tutta una serie di bracci snodati schizzò fuori dal sedile di Jessica, avvolgendola strettamente come in un bozzolo, in una sorta d’infrangibile sofficità, lasciando fuori soltanto la sua testa. – Ti sto portando su Salusa Secundus, – le annunciò Idaho. – Da Farad’n.

In un sussulto incontrollato, Jessica si agitò impetuosa tra i lacci che l’imprigionavano, ma li sentì stringersi, e allentarsi soltanto quando smise di agitarsi, non prima di aver percepito, sotto il rivestimento di quei bracci, il mortale filo shiga.

– L’attivatore del filo shiga è stato staccato, – le disse Idaho, senza guardarla. – E… sì, non provare la Voce su di me. È passato molto tempo da quando potevi agire su di me in quel modo. – La guardò. – I tleilaxu mi hanno corazzato contro questi stratagemmi.

– Tu stai obbedendo ad Alia, – disse Jessica, – e lei…

– Non obbedisco ad Alia, – l’interruppe lui. – Obbedisco al Predicatore. Vuole che tu istruisca Farad’n così come un tempo hai istruito… Paul.

Jessica tacque, come impietrita, ricordando le parole di Leto… che lei avrebbe trovato un allievo interessante. Poco dopo, riuscì a chiedere: – Questo Predicatore… è mio figlio?

La voce di Idaho sembrò giungerle da una grande distanza: – Vorrei davvero saperlo.

I figli di Dune
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